La democrazia e il contributo della psicoanalisi

di Sabrina Colandrea (Master in giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino)

Che rilevanza può avere la psicoanalisi nella comprensione della democrazia? Luisa Passerini, ex docente di Storia culturale presso l’Università di Torino e dal 2008 visiting professor alla Columbia University, ha aperto con un grosso quesito il dialogo con la psicoanalista francese, di scuola lacaniana, Marie-Hélène Brousse, dal titolo “La democrazia nell’epoca delle diversità: il contributo della psicoanalisi”.

Brousse, autrice di libri sulle tematiche più disparate, come l’isteria, l’omosessualità e il femminismo, ha scelto di venire incontro agli spettatori, esprimendosi in italiano. Il tema della Biennale di quest’anno, ‘Passaggi’, le ha subito richiamato alla mente il dispositivo, chiamato “la passe”, inventato nel 1967 da Jacques Lacan per valutare la formazione degli analisti. L’idea della passe originò dalla necessità che gli psicoanalisti fossero reclutati sulla base della loro relazione con l’inconscio, ovvero con i loro desideri.

“Si tratta di cogliere il passaggio da analizzante ad analista”, ha esordito Brousse. E ha aggiunto: “All’analista è richiesto di non operare con i suoi pregiudizi sociali, secondo la sua scala di valori. L’esperienza della passe serve a rinunciare alla presenza fisica dell’analizzante”. In psicoanalisi, perciò, il termine ‘passaggio’ implica una perdita di certe forme di soddisfacimento tanto narcisistiche quanto simboliche. Brousse ha suggerito che ciò che è vero per l’analista potrebbe essere generalizzato nel principio universale secondo cui ogni passaggio implica una perdita.

L’ascolto delle esperienze dei migranti convalida questa ipotesi. Chiunque venga sradicato da una realtà, perde valori, linguaggio, punti di riferimento. “Ognuno vive questa esperienza in modo diverso, sulla base della sua struttura psichica e secondo la sua storia. Possono esserci rigetto, diniego, rimozione. Ed effetti diversi: amore, odio, angoscia, collera, gratitudine, rispetto, ripiego su di sé, inibizione, depressione”. Brousse ha fatto notare ai presenti che una perdita simile non è della stessa natura se viene vissuta in prima persona o se è, invece, il risultato del racconto delle reazioni avute dai propri genitori, assimilate inconsciamente. Il riferimento è agli immigrati francesi di seconda generazione.

Dopo gli attentati che hanno insanguinato Parigi lo scorso gennaio, infatti, Brousse si è interrogata sulla mutazione strutturale dei legami sociali in atto nella nostra epoca: “Paradossalmente, la contemporaneità è caratterizzata da una circolazione inedita degli individui, reale e virtuale, oltre che delle informazioni, ma anche dalla segregazione in piccoli gruppi, che si riconoscono in ‘modalità di godimento comuni’. E questo moltiplica le barriere”. Ne deriva, tra le altre degenerazioni, la voce autoritaria dello stato islamico, che chiama a sé i giovani promettendo di soddisfare il loro bisogno di appartenenza.

Brousse ha poi fatto riferimento alla “pulsione di morte”, trattata da Freud in contrapposizione all’Eros in “Al di là del principio di piacere”. “Un’espressione che brilla del malinteso. Non si tratta propriamente di un concetto – ha spiegato – anzi, Freud prese molte precauzioni quando introdusse questo elemento, definendolo metafora, mito, ipotesi. Nel modello teorico che aveva costruito aveva ammesso il principio di piacere, ai cui ordini c’era il sogno, che realizzava il desiderio, ma che non spiegava gli incubi”.

Quando Freud ebbe a che fare con i primi traumatizzati dalla Grande Guerra, che ripetevano senza sosta il trauma cui erano stati sottoposti, a differenza di altri psichiatri, prese una posizione: i traumi di guerra esistono e la forma è la loro ripetizione ossessiva, che non rientra nel solito principio di piacere. Propose quindi un nuovo modello dell’apparato psichico, introducendo la ‘pulsione di morte’, che definì molto diversamente dall’aggressività: “Si tratta del voler arrivare a uno stato di eccitazione pari a zero, ovvero del desiderare di essere morti, perché la vita produce tensioni e il desiderio anche di più.”

Le motivazioni profonde che si celano dietro gli atti terroristici possono essere “spiegate” attraverso il conflitto interiore tra Eros e Thanatos, una mancanza di equilibrio tra pulsioni in contrasto. Ciò è valido per intere civiltà così come per il singolo individuo.

Lacan si è spinto molto oltre il modello freudiano: dapprima, in seguito a ricerche cliniche, ha sostenuto che non c’è un dualismo pulsionale. Poi è arrivato a dire che ogni pulsione umana è di morte, perché non ha un oggetto predeterminato, è assolutamente senza fine, insaziabile. “Non c’è attività umana che non possa spingersi verso la morte, anche il cibarsi o il fare sport. I fratelli Kouachi hanno compiuto quel gesto nella convinzione che fosse più importante della loro vita, che dovevano imbarcarsi in quell’avventura e sarebbero diventati eroi immortali, martiri, subito contabilizzati dal sistema religioso”. Brousse ha concluso dicendo che la pulsione di morte fa parte di noi. Non siamo così diversi da chi ci fa paura.

 

 

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Il tema della quarta edizione di Biennale Democrazia – che si svolgerà a Torino dal 25 al 29 marzo 2015 - é Passaggi. Passaggi che possono fungere da collegamento fra due luoghi separati da un confine, un muro o una barriera - fisica, mentale o virtuale - ma che possono anche designare delle svolte, delle soglie al di là delle quali il mondo e la percezione che ne abbiamo muta, come accade per le fasi della vita degli individui o per le epoche storiche.
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