Biennale Democrazia http://biennaledemocrazia.it Tue, 03 Nov 2015 17:03:25 +0000 en-US hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.5.2 “Generazioni”, la lectio di Gustavo Zagrebelsky a BD http://biennaledemocrazia.it/2015/07/07/generazioni-la-lectio-di-gustavo-zagrebelsky-a-bd/ Tue, 07 Jul 2015 20:45:46 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=6751 ZagrebelskyVi proponiamo il testo integrale della lectio magistralis del presidente di Biennale Democrazia Gustavo Zagrebelsky, che si è tenuta giovedì 26 marzo, alle 10, al Teatro Carignano.

 

(Luoghi comuni) Questa oretta che passeremo tra noi è costruita sulla contrapposizione tra vita ed esistenza e si sviluppa attraverso l’esame di alcuni luoghi comuni sulle età della vita: vita individuale e vita sociale.

Una premessa: un luogo comune può essere “comune” solo se è semplice e se semplifica. Per semplificare deve essere unilaterale, cioè guardare le cose esclusivamente da un lato; mostrare qualcosa, ma occultare qualche altra cosa. Lo sguardo da più lati, o da tutti i lati, non porta a una visione comune, poiché ci sarà chi vede un aspetto e chi un altro. Vedere tutto e simultaneamente ciò che occorrerebbe per avere una visione completa, non è nelle nostre facoltà. Ciò nonostante, non possiamo accontentarci del primo sguardo. De-costruire luoghi comuni significa complicare e la complicazione rende inquieti, affatica, contrappone.

Semplificare, invece, tranquillizza ed è riposante. Riposante, sì, ma anche fuorviante e pericoloso. “Considerare le cose da tutti i lati” (v. 376), cioè complicare, è il monito che viene da Antigone. Chi guarda da un lato solo e non vuol sapere dell’esistenza d’altri lati ch’egli per il momento non vede, è un individuo pericoloso. Si lascia convincere dalle apparenze, poiché non sa scorgere ciò che le ombre nascondono. Così, traccia linee di separazione, dicotomie, tra vita e morte, genitori e figli, vecchi e giovani, la generazione che va e quella viene, appartenenza all’una e appartenenza all’altra, continuità e fratture: tutti temi centrali negli incontri di BD che si svolgono quest’anno sotto il segno della parola “passaggi”. […]

Leggi il testo completo

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Passaggi di frontiera http://biennaledemocrazia.it/2015/04/20/ancora-biennale-passaggi-di-frontiera/ Mon, 20 Apr 2015 05:36:46 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=6742 Lunedì 20 aprile h 17:30, Campus Luigi Einaudi (Sala Lauree Blu Grande), si tiene un incontro organizzato sotto l’egida di Biennale 2015 dal Centro per l’Eccellenza e gli Studi Transdisciplinari. Il tema: Diritti dei migranti e costruzione dello straniero, con Alessandro Dal Lago, Donatella Di Cesare e Luigi Pannarale.

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Raccontaci la tua Biennale 2015! http://biennaledemocrazia.it/2015/04/02/raccontaci-la-tua-biennale-2015/ Thu, 02 Apr 2015 17:17:27 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=6736 Cos’è stata per te Biennale Democrazia 2015? Raccontacelo! Scegli il registro che vuoi e parlaci di ciò che preferisci, perché ogni aspetto di Biennale è per noi molto importante: i dibattiti e gli ospiti che hai seguito, i criteri delle tue scelte e le tue riflessioni, ciò che hai apprezzato e imparato, ma anche le criticità. 

Vorremmo sapere il tuo punto di vista sulla Biennale degli appuntamenti ufficiali, ma siamo interessati anche alle discussioni “a margine” che avrai avuto con compagni di classe, amici e colleghi. A proposito: magari proprio grazie a Biennale hai stretto nuove amicizie o rivisto vecchie conoscenze. E forse hai scoperto luoghi di Torino che non conoscevi, da abitante della città o da ospite venuto da altrove. Anche questi sono elementi da non sottovalutare per un’iniziativa come la nostra, che si propone di essere uno spazio pubblico di incontro fra persone, un “luogo” di Torino al servizio di relazioni sociali, culturali e civiche.

Scrivi un post su Facebook taggando Biennale Democrazia o invia un testo (massimo 4000 battute spazi inclusi) a biennale.democrazia@comune.torino.it: alcuni elaborati verranno pubblicati sul sito, e tutto il materiale che raccoglieremo sarà sicuramente utilissimo per migliorarci per in vista della prossima edizione.

Grazie e buona scrittura!

Lo staff di Biennale

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Hai visitato Torino durante Biennale Democrazia? http://biennaledemocrazia.it/2015/03/31/hai-visitato-torino-durante-biennale-democrazia/ Tue, 31 Mar 2015 12:41:07 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=6724 la lunga coda per ascoltare la lectio magistralis tenuta dal Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi che apre la Biennale Democrazia questo pomeriggio al Teatro Carignano di Torino/ANSA/DI MARCOSono tanti i turisti che hanno visitato Torino durante la quarta edizione di Biennale Democrazia. La loro opinione sulla manifestazione e, più in generale, sull’accoglienza loro riservata dalla Città è importante al fine di migliorare l’organizzazione della rassegna culturale e la gestione dei servizi cittadini.

Se hai visitato Torino dal 25 al 29 marzo e hai seguito gli incontri della manifestazione, o sei di Torino e vuoi lasciarci la tua opinione sulla rassegna, rispondi al questionario valutativo:

Questionario valutativo Biennale Democrazia 2015

 

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Il suono della musica indipendente: il Rettorato ospita il “Concertino dal balconcino” http://biennaledemocrazia.it/2015/03/31/il-suono-della-musica-indipendente-il-rettorato-ospita-il-concertino-dal-balconcino/ Tue, 31 Mar 2015 08:35:52 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=6721 di Maria Teresa Giannini (Master in giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino)

Nell’articolo 21 della Costituzione Repubblicana è scritto che tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione. E quale miglior modo per comunicare il proprio mondo interiore o per denunciare le ingiustizie del mondo se non la musica?

A Torino musica indipendente è sinonimo di “Concertino del balconcino” ed è probabilmente questo il motivo per cui Biennale Democrazia ha offerto per un’ora a Maksim Cristan, Daria Spada e Valentino Pizzi (i “Maksim Cristan con la Spada”) il suggestivo cortile del Rettorato dell’Università di Torino.

Un’ora di divertimento e riflessione, preceduto dal “Dizionario della lingua sbagliato” scritto da Davide Simonetti e Ferdinando De Blasio (autori del “pre-concerto trasmesso dal citofono), in cui si sono elencate voci del dizionario italiano apparentemente innocue, spiegate in senso comico.

La carrellata di artisti sul “palco d’eccezione”, addobbato con striscioni e composizioni in plastica riciclata, è partita con il tradizionale “Inno del popolo Rom”, che, spiega Daria Spada, “E’ nato come una poesia d’amore fra due gitani detenuti in un campo di concentramento e ha viaggiato nei racconti cantati, fino a quando un compositore macedone non lo ha scritto e composto”.

Largo quindi ai versi contro ogni perbenismo sessuale di Carlo Molinaro e alle dissacranti poesie erotiche di Clara Vajtò. Fabrizio Sculletta, (detto Skulla) ha cantato la Torino delle contraddizioni, seguito dai suoni rap e dalla recitazione di Gabriella Dal Farra, che nel suo pezzo sull’impegno politico ha simulato il discorso di un sindaco.

Ancora una volta il pubblico, assiepato sotto il Balconcino, ha seguito l’energico viaggio tra sonorità metropolitane e richiami alla tradizione balcanica, in cui la chitarra elettrica sorregge e non sovrasta la voce lirica, come la conchiglia sorregge la sera della bellezza in uno dei quadri più famosi del Rinascimento.

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La transizione tra storia e politica all’Accademia delle Scienze http://biennaledemocrazia.it/2015/03/30/6715/ Mon, 30 Mar 2015 14:19:03 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=6715 di Tommaso Portaluri

Che cosa si intende per transizione storica e come avviene il passaggio da un’epoca politica a un’altra? Parlare di transizione storica e politica in Italia è come parlare di indipendenza in Catalogna o di pace in medio Oriente: un discorrere di circostanze a lungo desiderate e speranze a lungo coltivate, rivelatesi infine chimere irraggiungibili.

A tentare questa ardua impresa, però, ieri nella splendida Sala dei Mappamondi dell’Accademia delle Scienze, due professori di Storia contemporanea, Guido Crainz (Università di Teramo) e Paolo Pombeni (Università di Bologna) in un incontro dal coraggioso titolo “La transizione tra storia e politica”, moderato dal professor Pier Paolo Portinaro (Università di Torino).

Mentre il professor Pombeni ha tracciato una prospettiva più squisitamente storiografica, l’intervento del professor Crainz si è focalizzato principalmente sulla vicenda repubblicana, italiana ed europea; una voce sulla Storia e una voce nella Storia, che hanno offerto ognuna preziosi strumenti per decifrare l’altra.

La transizione come crisi, la nostra crisi come transizione

“La transizione è una crisi, uno choc” ha esordito il professor Pombeni, uno choc anzitutto culturale ma che coinvolge tutta la società, con le sue istituzioni e i suoi paradigmi. La crisi, ovvero la transizione, che stiamo vivendo oggi è la crisi della civiltà occidentale. Per il professor Pombeni l’identità occidentale si impernia su tre cardini portanti: (i) il cristianesimo, inteso come centralità dell’individuo; (ii) il capitalismo, con particolare riferimento all’aspetto creativo – quasi creazionista – dell’economia: il denaro genera altro denaro; lo stato di diritto, nel binomio legalità-legittimità così come proposto da Max Weber.

L’individuo è ancora il centro della società? Iniziamo a dubitarne, e ne dubitiamo, quando ci chiediamo, ad esempio, se l’economia sia ancora nelle mani dei singoli (“O piuttosto dei fondi sovrani?”, chiede provocatoriamente Pombeni), non senza dimenticare però le contraddizioni da più parti denunciate del capitalismo e le dilaganti profezie di dissoluzione. Vi è poi un problema sentito e generalizzato di legittimità, che riguarda anzitutto le istituzioni ma che non si limita alla contestazione del Parlamento o delle sentenze, ma si insinua capillarmente nelle fondamenta democratiche e nella complessa dialettica maggioranza vs. minoranza.

Esame di coscienza civile

Nonostante la transizione sia più spesso una rottura che un semplice passaggio, esistono anche crisi invisibili, per decenni asintomatiche ma comunque inarrestabili nel loro progressivo logoramento. Analogamente, però, si danno cambi di paradigmi solo apparenti. Detto in termini ancora più espliciti, si assiste talvolta a una riscrittura che mantiene inalterato lo spirito, alla distruzione di un palazzo dalle fondamenta cui segue una costruzione nuova, edificata però con gli stessi mattoni.

Non è difficile ravvisare nella storia Italiana periodi di crisi e transizione. Due, in particolare, sono oggetto dell’intervento del professor Crainz, in un audace parallelismo tra gli anni 1943-1946 e 1992-1994. Almeno uno, insiste Crainz, è il punto in comune tra le due transizioni: è mancato un esame di coscienza civile sulle crisi che li hanno segnati. Oggi è certamente semplice sposare questa posizione, eppure ci sono stati intellettuali che già nel 1945 e nel 1992 hanno dichiarato “non è tutta colpa di Mussolini”, “non è tutta colpa del Palazzo”, rifiutando l’idea di una società civile migliore della politica che aveva espresso o a cui aveva, con diversi stadi di complicità, consentito di esprimersi.

Quale scenario per il futuro?

Se la transizione è evidente, la destinazione verso cui ci si dirige non è del tutto chiara. Ma nell’imperscrutabilità dell’orizzonte, ci sono almeno due indizi che si riescono a intravedere: la scomparsa (non necessariamente in senso emancipatorio) del paradigma familiare come condizione per “essere in società”; il ritorno delle religioni e della sacralità religiosa, ovvero quel complesso processo che abbiamo iniziato a chiamare “desecolarizzazione”.

Sono imprevedibili gli esiti di questa battaglia combattuta sottopelle dall’uomo contemporaneo, che pur ravvisando ancora nel capitalismo e nei suoi ideali la via da percorrere nel perseguire i propri obiettivi non ricusa più di metterlo in discussione. La progressiva erosione dei pilastri costitutivi della società occidentale non sembra arrestarsi. In questo navigare a vista, sarebbe di primaria importanza tenere a mente che la transizione non è un diletto di interesse squisitamente storiografico per mandare in sollucchero storici contemporanei e futuri, ma precisamente quello che viviamo tutti i giorni, l’ingrediente principe della nostra quotidianità.

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La spada e il Corano http://biennaledemocrazia.it/2015/03/30/la-spada-e-il-corano/ Mon, 30 Mar 2015 14:07:58 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=6708 di Matteo Fontanone (www.digi.to.it)

ISISNella giornata conclusiva di Biennale Democrazia, c’è spazio anche per parlare di Stato Islamico. Nell’aula magna della Cavallerizza Reale, per la conferenza “La spada e il Corano”, ci sono quattro studiosi e redattori della rivista Limes: ognuno dotato di un proprio retroterra culturale, si confrontano sul Medio Oriente analizzandone problemi e contraddizioni individuati durante studi, viaggi, approfondimenti.

A introdurre e fare da trait d’union tra gli interventi Lorenzo Declich, studioso dell’Islam. Tra i relatori Massimiliano Trentin, ricercatore dell’Università di Bologna, Lorenzo Trombetta, corrispondente Ansa da Beirut, e Anna Cossiga, storica delle religioni.

L’Isis tra passato e presente

Declich ricorda che per parlare di terrorismo è necessario operare una distinzione tra Al-Qaida e Isis. Mentre sulla prima ormai c’è poco da aggiungere, lo Stato Islamico porta con sé una serie di novità.

Innanzitutto è un fenomeno nuovo, innescato dalla generazione di jihadisti nata all’indomani dalla morte di Bin Laden. Prende piede in Siria, dove la penetrazione dell’Isis avviene sulle macerie della guerra civile voluta da Assad, e in Iraq, dove erano già presenti organizzazioni jihadiste e qaediste. «Si sottovaluta – dice Declich – che in Iraq si stava formando una nuova struttura burocratica, che non agiva in territori lontani e abbandonati ma nelle città, tra il popolo. Si stava organizzando un futuro in cui tutte queste piccole organizzazioni inizialmente slegate sarebbero confluite in uno spazio geografico ben definito».

Dopo aver collocato nello spazio e nel tempo la nascita dell’Isis, il discorso vira sul presente. Sappiamo che da poco la città di Idlib è stata conquistata da gruppi jihadisti, alcuni nettamente qaedisti come Jabhat al-Nusra. Tikrit invece è tuttora contesa tra l’esercito iracheno, aiutato da forze di confessione sciita, e lo Stato Islamico, con gli Stati Uniti che bombardano dall’alto ma hanno chiesto agli sciiti di farsi da parte. L’ultimo dei tre scenari è lo Yemen, strategica porta d’accesso al Mar Rosso, dove l’Isis sta cercando di infiltrarsi. Agli attentati nelle moschee di Sanaa, le milizie sciite hanno risposto addentrandosi nel sud per spazzare via i terroristi; nel frattempo, si è formata una coalizione di stati arabi per controllare i propri interessi.

Analisi di un fondamentalismo

Anna Cossiga affronta il problema dello Stato Islamico da un punto di vista di antropologia culturale e storia delle religioni: «Sembra che lo Stato Islamico sia il fondamentalismo islamico per eccellenza: c’è un nemico interno, gli sciiti, e un nemico esterno, la modernità e quindi l’Occidente. Per modernità – continua – non intendiamo certo la tecnologia, che l’Isis usa invece molto bene: si tratta piuttosto della divisione della politica dalla religione e dell’interpretazione delle scritture, che secondo lo Stato Islamico vanno prese alla lettera».

Secondo la studiosa, l’Isis cerca nel passato l’unica soluzione al futuro, tanto che la sua idea è quella di ricreare l’età dell’oro, i tempi mitici del Califfato. Cossiga definisce lo Stato Islamico una rete dalle maglie larghe: il polo principale è quello siriano-iracheno, per la cui creazione sono stati distrutti i confini segnati dall’Occidente; poi ci sono i distaccamenti in Libia, cellule in Tunisia, Boko Haram nel nord della Nigeria. Il pericolo è che la maglia si continui ad allargare: «Se mai l’Isis dovesse stabilizzarsi e crescere ancora, forse dovremo accettare l’idea di parlare con loro in altre misure che non siano la guerra e avviare dei rapporti di diplomazia».

Dare all’Isis dei limiti spazio-temporali

Massimiliano Trentin, riprendendo le riflessioni iniziali di Declich, dà una contestualizzazione storica allo Stato Islamico. Secondo l’approccio storico, ogni evento va posizionato all’interno delle coordinate base di spazio e tempo. Questo processo permette di individuare nell’Isis limiti e contraddizioni utili a contrastare la sua narrativa, «che vuole questo movimento come parte di un processo eterno senza limiti di spazio e tempo, mentre questi limiti esistono eccome».

Siria e Iraq si contraddistinguono per tre elementi fondamentali: il collasso delle istituzioni pubbliche nazionali, una visione confessionale della politica e l’esclusione del popolo dai processi di ridistribuzione della ricchezza.

Era facile immaginare che quegli spazi di esclusione venissero occupati: una sola milizia, una sola tassa e un solo soggetto a cui riferirsi. Per Trentin, «l’Isis ha saputo introdursi con intelligenza in quei luoghi e in quei momenti che davano maggiori garanzie di successo a una forza i cui obiettivi erano la jihad globale e la costituzione di uno stato».

Anche gli altri elementi di successo dello Stato Islamico, se inseriti in un contesto spazio-temporale, mettono a nudo i propri limiti. In primis quelli geografici e militari: ogni volta in cui l’Isis ha affrontato eserciti preparati, ha perso. In secondo luogo, c’è l’insofferenza popolare alle pratiche di governo dei territori che hanno occupato: se garantiscono stabilità, non è detto che le popolazioni siano d’accordo con le modalità di gestione.

La Siria vista da vicino

Lorenzo Trombetta vive a Beirut, è corrispondente Ansa e segue dall’interno molti nodi del Medio Oriente, basti pensare che solo due giorni prima di arrivare a Torino si trovava al confine tra Siria e Giordania. Parla di Isis in termini di complessità, spesso difficile da affrontare per il giornalismo e gli studiosi universitari, che mettono le mani avanti e si lasciano affascinare dalle semplificazioni.

Il suo è un intervento torrenziale e appassionato, porta numeri, nomi ed esempi per raccontare al pubblico di Biennale che cosa sia davvero la complessità su cui tanto insiste: «Jabhat al-Nusra, ala qaedista nata con la guerra civile in Siria, formalmente rivali dell’Isis, nel fronte sud-siriano costituisce il 25% delle forze totali. Per quale motivo una così netta preponderanza? Stipendi: un miliziano affiliato ad al-Nusra guadagna 400 dollari al mese, mentre un miliziano “moderato” addestrato da Stati Uniti, Giordania e Arabia Saudita guadagna se guadagna soltanto 60. Va ancora meglio ai miliziani siriani dell’Isis, la cui paga mensile è di ben 600 dollari». Secondo Trombetta, la matrice confessionale spesso è poco più che un pretesto, un motivo di propaganda che tutt’al più può attrarre jihadisti dall’Europa.

Allo stesso modo, anche per il popolo è una questione poco marcata, soffusa, spesso inesistente: «Ieri sera parlavo con un abitante dei sobborghi orientali di Damasco, un pacifista convinto. Mi diceva che tra i miliziani locali e l’Isis preferisce l’Isis, che dà pace, stabilità e sicurezza». L’imposizione di un’autorità militare stabile, la fornitura di servizi e la capacità di negoziazione con il regime di Assad sono elementi in grado di convincere la popolazione. Il confessionalismo, quando si tratta di soldi e sicurezza, si diluisce: «In Siria, lo scontro è sempre su più livelli: religioso, politico, socio-economico. Ed era così da prima che arrivasse l’Isis, da prima che scoppiasse la guerra civile».

Mosul attualmente è una delle principali roccaforti dell’Isis, ma nessuno sa che pochi anni fa è stata una delle piazze Tahrir del mondo arabo: «Se a Mosul l’Isis ha bruciato dei libri, qualcuno ha lasciato che la sua società civile, i professori e gli studenti non venissero ascoltati e rimanessero sotto silenzio». Trombetta chiude ricordando chi già nel 2012 sosteneva che con l’Isis si dovesse dialogare, padre Paolo Dall’Oglio, scomparso in Siria nel luglio 2013 : «L’esclusione dello Stato Islamico da ogni forma di processo politico è controproducente, lo ha capito prima di tutti padre Paolo».

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La democrazia e il contributo della psicoanalisi http://biennaledemocrazia.it/2015/03/30/la-democrazia-e-il-contributo-della-psicoanalisi/ Mon, 30 Mar 2015 13:55:57 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=6706 di Sabrina Colandrea (Master in giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino)

Che rilevanza può avere la psicoanalisi nella comprensione della democrazia? Luisa Passerini, ex docente di Storia culturale presso l’Università di Torino e dal 2008 visiting professor alla Columbia University, ha aperto con un grosso quesito il dialogo con la psicoanalista francese, di scuola lacaniana, Marie-Hélène Brousse, dal titolo “La democrazia nell’epoca delle diversità: il contributo della psicoanalisi”.

Brousse, autrice di libri sulle tematiche più disparate, come l’isteria, l’omosessualità e il femminismo, ha scelto di venire incontro agli spettatori, esprimendosi in italiano. Il tema della Biennale di quest’anno, ‘Passaggi’, le ha subito richiamato alla mente il dispositivo, chiamato “la passe”, inventato nel 1967 da Jacques Lacan per valutare la formazione degli analisti. L’idea della passe originò dalla necessità che gli psicoanalisti fossero reclutati sulla base della loro relazione con l’inconscio, ovvero con i loro desideri.

“Si tratta di cogliere il passaggio da analizzante ad analista”, ha esordito Brousse. E ha aggiunto: “All’analista è richiesto di non operare con i suoi pregiudizi sociali, secondo la sua scala di valori. L’esperienza della passe serve a rinunciare alla presenza fisica dell’analizzante”. In psicoanalisi, perciò, il termine ‘passaggio’ implica una perdita di certe forme di soddisfacimento tanto narcisistiche quanto simboliche. Brousse ha suggerito che ciò che è vero per l’analista potrebbe essere generalizzato nel principio universale secondo cui ogni passaggio implica una perdita.

L’ascolto delle esperienze dei migranti convalida questa ipotesi. Chiunque venga sradicato da una realtà, perde valori, linguaggio, punti di riferimento. “Ognuno vive questa esperienza in modo diverso, sulla base della sua struttura psichica e secondo la sua storia. Possono esserci rigetto, diniego, rimozione. Ed effetti diversi: amore, odio, angoscia, collera, gratitudine, rispetto, ripiego su di sé, inibizione, depressione”. Brousse ha fatto notare ai presenti che una perdita simile non è della stessa natura se viene vissuta in prima persona o se è, invece, il risultato del racconto delle reazioni avute dai propri genitori, assimilate inconsciamente. Il riferimento è agli immigrati francesi di seconda generazione.

Dopo gli attentati che hanno insanguinato Parigi lo scorso gennaio, infatti, Brousse si è interrogata sulla mutazione strutturale dei legami sociali in atto nella nostra epoca: “Paradossalmente, la contemporaneità è caratterizzata da una circolazione inedita degli individui, reale e virtuale, oltre che delle informazioni, ma anche dalla segregazione in piccoli gruppi, che si riconoscono in ‘modalità di godimento comuni’. E questo moltiplica le barriere”. Ne deriva, tra le altre degenerazioni, la voce autoritaria dello stato islamico, che chiama a sé i giovani promettendo di soddisfare il loro bisogno di appartenenza.

Brousse ha poi fatto riferimento alla “pulsione di morte”, trattata da Freud in contrapposizione all’Eros in “Al di là del principio di piacere”. “Un’espressione che brilla del malinteso. Non si tratta propriamente di un concetto – ha spiegato – anzi, Freud prese molte precauzioni quando introdusse questo elemento, definendolo metafora, mito, ipotesi. Nel modello teorico che aveva costruito aveva ammesso il principio di piacere, ai cui ordini c’era il sogno, che realizzava il desiderio, ma che non spiegava gli incubi”.

Quando Freud ebbe a che fare con i primi traumatizzati dalla Grande Guerra, che ripetevano senza sosta il trauma cui erano stati sottoposti, a differenza di altri psichiatri, prese una posizione: i traumi di guerra esistono e la forma è la loro ripetizione ossessiva, che non rientra nel solito principio di piacere. Propose quindi un nuovo modello dell’apparato psichico, introducendo la ‘pulsione di morte’, che definì molto diversamente dall’aggressività: “Si tratta del voler arrivare a uno stato di eccitazione pari a zero, ovvero del desiderare di essere morti, perché la vita produce tensioni e il desiderio anche di più.”

Le motivazioni profonde che si celano dietro gli atti terroristici possono essere “spiegate” attraverso il conflitto interiore tra Eros e Thanatos, una mancanza di equilibrio tra pulsioni in contrasto. Ciò è valido per intere civiltà così come per il singolo individuo.

Lacan si è spinto molto oltre il modello freudiano: dapprima, in seguito a ricerche cliniche, ha sostenuto che non c’è un dualismo pulsionale. Poi è arrivato a dire che ogni pulsione umana è di morte, perché non ha un oggetto predeterminato, è assolutamente senza fine, insaziabile. “Non c’è attività umana che non possa spingersi verso la morte, anche il cibarsi o il fare sport. I fratelli Kouachi hanno compiuto quel gesto nella convinzione che fosse più importante della loro vita, che dovevano imbarcarsi in quell’avventura e sarebbero diventati eroi immortali, martiri, subito contabilizzati dal sistema religioso”. Brousse ha concluso dicendo che la pulsione di morte fa parte di noi. Non siamo così diversi da chi ci fa paura.

 

 

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L’educazione sentimentale del maschio http://biennaledemocrazia.it/2015/03/30/leducazione-sentimentale-del-maschio/ Mon, 30 Mar 2015 13:37:14 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=6700  di Monica Merola (Master in giornalismo “Giorgio Bocca” Torino)

maschio“Non c’è più fame di emozioni: la vera emergenza sociale è la solitudine”. Pietrangelo Buttafuoco, firma del Foglio e del Fatto Quotidiano, parla così dell’educazione sentimentale del maschio, nodo centrale del dibattito presentato domenica pomeriggio dallo scrittore Massimo Gramellini al Teatro Regio. Ad accompagnarli lo psicologo e docente Umberto Galimberti, e l’autore di “Essere Maschi” Stefano Ciccone. Quattro uomini che hanno raccontato ad una platea – a tratti molto divertita dalle parole di Buttafuoco, che con verve ha consegnato le sue riflessioni al pubblico – le difficoltà dell’educazione sentimentale maschile. Presente nelle loro parole, anche se assente sul palco, la figura femminile, attrraverso riti, aneddoti e racconti. Dalla descrizione delle “minne siciliane” di Sant’Agata (dolci a forma di seno la cui estremità ricorda un capezzolo femminile) fatta da Buttafuoco,  all’infanzia di Gramellini, orfano di madre, che ha condiviso la sua storia  privata di dolore e ricerca emotiva nel romanzo “Fai bei sogni”. E questo fino ad arrivare alle riflessioni di Galimberti e Ciccone, diversi anagraficamente ma accomunati da una sensibilità nel ragionare su come i giovani maschi vivono i sentimenti nella società contemporanea. Secondo Galimberti l’unico luogo che può insegnare i sentimenti, “che non nascono con noi ma si imparano”, è la letteratura. Così ha cominciato, “per educare la mente. Purtroppo oggi non si legge più, i ragazzi non leggono. Nei libri si impara cos’è davvero l’amore e il dolore”. E quando Gramellini gli domanda dell’ultimo libro d’amore letto, il professore non esita sulla letteratura americana, rispondendo “L’animale morente”, di Philip Roth. L’educazione ai sentimenti è, per Gramellini, “una delle grandi carenze del nostro tempo, e spesso ne parliamo quando si tratta del tema drammatico del femminicidio”. Lo scrittore sottolinea infatti l’idea atavica di alcuni, che vivono la donna come una proprietà. Ma alle spalle di questo concetto obsoleto vi è per lui “l’incapacità per l’uomo di reggere qualunque distacco e qualunque rottura”. La storia però è fatta anche di eccezioni, come una vicenda raccontata anni fa dal giornalista Gabriele Romagnoli, e che ripresa durante l’incontro commuove tutti e quattro i relatori: una coppia di anziani torinesi che dopo aver cenato romanticamente insieme decisero di lasciarsi morire, gettandosi nel Po mano nella mano. Per Galimberti il paragone con la coppia di anziani morta a Torino questa settimana, a causa di un incendio divampato in casa, è inevitabile: l’uomo si è lasciato morire, infatti, appena ha compreso che la sua compagna di tutta una vita non ce l’aveva fatta. Sentimenti quindi senza luoghi comuni, con donne in grado di essere forti e uomini capaci di commuoversi. Ciccone sottolinea che “la vera educazione sentimentale, forse, è anche riuscire non cadere nei clichè. Nonostante sia difficile per gli uomini misurarsi con la forza, l’autonomia e l’autorevolezza delle donne”.

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La BCE e la democrazia http://biennaledemocrazia.it/2015/03/30/la-bce-e-la-democrazia/ Mon, 30 Mar 2015 13:14:26 +0000 http://biennaledemocrazia.it/?p=6689 di Maria Teresa Giannini (Master in giornalismo “Giorgio Bocca” Torino)

Se l’Eurozona fosse una giostra medievale, quello fra democrazia e governance economica sarebbe il duello del secolo. Il tema è complesso e molto tecnico, ma Eugenio Barcellona non si lascia scoraggiare: da professore universitario, è abituato a catturare l’interesse dei presenti e, terminata l’introduzione dell’Avvocato Emiliana Olivieri, racconta un aneddoto. “Per capire quanto sia sottovalutata l’importanza della democrazia, pensiamo a ciò che narra Erodoto nelle Storie: Quando le poleis greche osarono arginare l’avanzata persiana, l’imperatore Ciro mandò emissari a studiare la loro organizzazione politica, ma gli uomini tornarono al suo cospetto rassicurandolo: “Queste città non costituiscono alcun pericolo, Maestà: immagini che al loro centro hanno uno spazio vuoto in cui ogni giorno si riunisce gente che chiacchiera!”. Nel Novecento la ripresa della vita democratica nei singoli Stati europei, seppur con tutte le imperfezioni ancora da smussare, si era avuta già all’indomani della II Guerra Mondiale, ma solo negli anni ’80-’90 quella che era la Comunità Europea porrà le basi per il futuro conio. Il crollo del Muro di Berlino, che da un lato ha significato la fine del tutoraggio internazionale della Germania, dall’altro ci ha consegnato la globalizzazione dell’economia sotto un unico modello e una nuova questione tedesca. Barcellona ricorda quindi lo “step up” finanziario e produttivo che ha ispirato i teorici del Trattato di Maastricht, firmato il 7 Febbraio 1992. “La moneta unica è nata politicamente orfana, in quanto non esisteva ancora un super-stato europeo – sostiene l’avvocato – anche la BCE, quindi, è nata mutilata nelle sue funzioni, in particolare quella di prestatore di ultima istanza, diversamente dalla Banca Centrale degli Stati Uniti, la Federal Reserve (Fed).”. Queste differenze hanno alle spalle ragioni storiche e strategiche. Erano gli anni del massimo splendore per il neo conservatorismo. La Guerra del Vietnam stava capovolgendo molti equilibri. Nixon ruppe il rapporto fra dollaro e oro (il “privilege exorbitant” secondo i francesi), riuscendo quindi a equiparare il valore fiscale a quello di garanzia commerciale della moneta americana e ottenendo inoltre bassissimi tassi d’interesse: un’idea diametralmente opposta a quella che sottendeva gli accordi di Bretton Woods del ‘44, che stabilivano cambi fissi, prezzi mediati da agenzie politiche e controllo dei capitali. Si chiudeva l’epoca in cui le banche centrali erano le supreme regolatrici del mercato e cominciava una in cui, da strumento per l’allocazione privata di beni pubblici, il mercato sarebbe diventato esso stesso bene pubblico per i privati. Ecco che l’Homo Oeconomicus diventa Homo Impoliticus e il nuovo tipo di “mercato” contempla solo la felicità atomistica. A ciò corrisponde una banca centrale svuotata dei suoi poteri, cui spetta solo stabilizzare i prezzi e garantire la piena occupazione. “Quando i tedeschi pongono il divieto assoluto di aumentare la spesa pubblica, per dirla con le parole di Thomas Piketty, ipotecano il dibattito democratico” afferma severo Barcellona, riferendosi al dettato degli articoli 124-125-127 del TFUE, nonché ai fatidici parametri insormontabili del 3% di debito e del 60% nel rapporto deficit/pil. L’operazione di quantitative easing (emissione di liquidità), che secondo alcuni critici infonderebbe pessimismo nei mercati per l’abbassamento dei tassi d’interesse, secondo Barcellona è invece un primo passo per l’esercizio effettivo di una timida solidarietà monetaria. A dimostrarlo sarebbe la mutualizzazione del debito: i singoli paesi metteranno in comune il 20% del proprio debito attraverso l’emissione di titoli di Stato acquistati dalla BCE, che in questo modo genererà una nuova iniezione di denaro da reimmettere nel circuito economico. Tutto questo però resta una goccia nell’oceano. Nell’Eurozona non esiste ancora una fiscalità comune e, ciò che più indigna, c’è una campagna di governi e organi di stampa contro la spesa pubblica, associata in toto agli sperperi di denaro e che invece è uno strumento di civiltà e democrazia, che ha permesso all’Occidente di diventare ciò che è oggi. Sembra un po’ utopistico ma “Lì dove massimo è il pericolo, c’è anche la salvezza”. “Viviamo una fase di sconfitte ma, paradossalmente, di speranze, in cui la politica monetaria di draghi somiglia ad un tentativo donchisciottesco di salvare l’Euro. – è la prospettiva di Pierluigi Ciocca, a lungo vicedirettore generale della Banca d’Italia – L’idea di una moneta senza uno Stato preesistente, secondo Guido Carli, avrebbe avvicinato gli europei, portandoli a sentire la necessità di realizzare in fretta un macro Stato”. L’ex banchiere ricorda l’eccessiva deregulation bancaria effettuata dai labouristi inglesi: negli anni del governo Blair, infatti, la Gran Bretagna tolse alla Royal Bank of Scotland la vigilanza sulla politica monetaria della regione, salvo poi restituirla dopo pochi anni. In merito alla spesa pubblica, Ciocca non nasconde alcune perplessità “vengo dall’Aquila, e la mia era una splendida città medievale che ha certamente bisogno di investimenti pubblici per risorgere, ma in generale occorre spenderli in modo giusto, come diceva il fautore del New Deal, John Keynes”.

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