Carta dei diritti in Internet: l’intervista a Juan Carlos De Martin

Il 13 ottobre 2014 è stata pubblicata la prima bozza della Dichiarazione dei diritti in Internet. Un momento storico per l’Italia, che per la prima volta istituisce in Parlamento una Commissione di studio sui diritti e doveri in Internet, e che si fa capofila in Europa per il riconoscimento, oltre al resto, dell’accesso a Internet come diritto fondamentale.
Juan Carlos De Martin, docente al Politecnico di Torino, dove ha co-fondato e dove co-dirige il Centro Nexa su Internet e Società, è uno dei membri della Commissione di studio creata per stilare la Dichiarazione.

Professor De Martin, da dove nasce la necessità di redigere una Dichiarazione dei Diritti in Internet?

Da molti anni, intellettuali come Stefano Rodotà e personaggi di riferimento della comunità Web come Tim Berners Lee – co-inventore, assieme a Robert Cailliau del World Wide Web – discutono della necessità di riconoscere nuovi diritti e reinterpretarne di vecchi adattandoli al contesto digitale, così da assicurare una maggiore tutela delle libertà in Internet. Da almeno otto anni si parla della possibilità di stilare una Bill of rights di Internet, obiettivo a cui si sta avvicinando grazie alle iniziative prese in diversi paesi d’Europa. Si pensi all’iniziativa di Tim Berners Lee e della World Wide Web Foundation per la definizione di una Magna Carta per Internet redatta in maniera partecipativa, ma anche alla nascita della Commissione parlamen-tare francese sui diritti digitali e a quella della House of Commons britannica sulla democrazia digitale, e ancora al rapporto stilato dal Consiglio di Stato francese sui nuovi diritti digitali.

Internet è un mezzo di comunicazione di massa. Perché la necessità di elaborare una Carta fondamentale non si è avvertita con altri mezzi di comunicazione di massa, come la radio o con la televisione? Cosa distingue Internet dagli altri mass media?

Premetto che, a mio parere, la radio e la televisione – in particolare quest’ultima, se consideriamo l’impatto che ha avuto sulla democrazia nel mondo – avrebbero dovuto essere tutelati dalla Costituzione, non soltanto da leggi ordinarie. Riguardo a Internet, per le sue potenzialità e per le sue caratteristiche intrinseche, è riduttivo considerarlo un mezzo di comunicazione di massa alla stregua degli altri; Internet è una piattaforma sulla quale i cittadini hanno la possibilità di esercitare i propri diritti fondamentali, economici, culturali e politici: non avere la possibilità di accedervi vuol dire non esercitare appieno i propri diritti di cittadino.

Il punto 14 della Dichiarazione – Criteri per il governo della Rete – recita: “Ogni persona ha diritto di vedere riconosciuti i propri diritti in Rete sia a livello nazionale che in-ternazionale”. Come tutelare tali diritti?

I livelli sono molteplici: è, infatti, possibile legiferare a livello nazionale, europeo e internazionale. In queste settimane si è parlato della possibilità di inserire alcuni punti della Dichiarazione nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che ha valore giuridico. Poi c’è lo spazio internazionale, che è quello nel quale è più difficile agire. Ma non impossibile: si pensi ai numerosi accordi internazionali stipulati per tutelare interessi commerciali. Tutto dipende dalla volontà politica di seguire una strada analoga per i diritti della Rete.

Considerati i diversi livelli di potere in Rete, come gli utenti possono difendersi da una decisione adottata dal governo o dai responsabili delle piattaforme digitali che li coinvolge?

Quello che noi auspichiamo con l’articolo 14 della Dichiarazione è creare un’entità a cui i cittadini che credono che i propri diritti siano stati violati, da un attore pubblico o privato, possono rivolgersi se un’altra strada non è disponibile o chiaramente identificabile.

Sempre a proposito di utenti, quanto sono consapevoli, quando si utilizza Internet, che gran parte dei contenuti caricati online costituiscono profitto per le aziende, che raccolgono e vendono i loro dati (che possono riguardare interessi, abitudini etc.)?

La consapevolezza è ancora limitata a circoli ristretti, ma un po’ alla volta si sta diffondendo l’idea che se un servizio è gratuito, il prodotto sei tu, ovvero, i tuoi dati. Quando noi parliamo di diritto all’educazione, di cultura digitale, intendiamo anche questo: spiegare i pro e i contro dei servizi offerti in Rete, in modo da permettere scelte consapevoli.

Il 27 ottobre partirà la consultazione online. Come funzionerà?

La forma dei commenti che potranno essere lasciati è molto libera: è prevista la possibilità di commentare specifici articoli della Dichiarazione, ma anche quella di inviare dei contributi veri e propri: gli esperti che non fanno parte della Commissione – moltissimi – potranno così inviare osservazioni di alta qualità, intervenendo su passaggi più complessi o limitati della Dichiarazione. Ci aspettiamo un feedback anche dalla Commissione francese per i diritti digitali, dalla Commissione permanente per la digital agenda del Bunderstag e dalla Commissione per la democrazia digitale della House of Commons, a cui la presidente della Camera Laura Boldrini ha inviato la bozza di Dichiarazione.

Cosa succederà dopo?

La consultazione durerà quattro mesi, durante i quali sarà possibile dare spazio anche ad al-tre voci durante le audizioni che si terranno alla Camera. I commenti e i contributi alla bozza di Dichiarazione verranno raccolti, elaborati e sintetizzati dalla Commissione di studio per i diritti e i doveri relativi a Internet. Nella fase finale, si deciderà quali suggerimenti accogliere per arrivare a una proposta di testo finale.

La bozza della Dichiarazione ha suscitato alcune reazioni negative. C’è chi critica, come Antonello Soro, Garante della privacy, alcuni punti della Dichiarazione, in particolare quello che fa riferimento all’Anonimato in Rete. Soro sostiene che la sospensione dell’anonimato, attuata per esempio per identificare chi abbia commesso comportamenti illeciti online, potrebbe essere utilizzato dai regimi non democratici per reprimere il dissenso e le minoranze. Cosa risponde?

La nostra è solo una proposta di testo e siamo consapevoli che alcuni articoli sono migliorabili. Accoglieremo e valuteremo tutti i contributi, anche quelli provenienti dal Garante della privacy, naturalmente.

Nel novembre 2010 Stefano Rodotà avanzò all’Internet Governance Forum Italia che si tenne a Roma una proposta pubblica: introdurre l’accesso a Internet nell’articolo 21 della Costituzione. È il passo successivo alla Dichiarazione?

La Dichiarazione dei diritti di Internet vuole parlare innanzitutto all’Italia (in primis Parlamento e Governo), e poi all’Europa e al mondo. Io avevo a suo tempo sostenuto la proposta del professor Rodotà relativamente all’articolo 21 della Costituzione, proposta che – quattro anni dopo e con la prima bozza di Dichiarazione ormai pubblica – mi sembra più matura e importante che mai.

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