Chi decide cosa vediamo sui social?

Social networkdi Antonella Capalbi (www.digi.to.it)
Che la Rete costituisca il più grande contenitore di informazioni prodotto e fruito da un’umanità sempre più affamata di notizie è cosa nota. Cosa un po’ meno nota, a dire di Fabio Chiusi – freelance e moderatore dell’incontro tenutosi ieri presso il Teatro Gobetti sul tema del controllo dell’informazione sui social network – è che questa grande mole di informazioni è spesso fruita in maniera poco autodeterminata e molto etero diretta.

Ma chi è a capo di questa etero direzione? In altre parole, chi controlla cosa visualizziamo in Rete e quali notizie fruiamo? E’ stato questo il fil rouge dell’incontro che ha visto gli intereventi di due esponenti di quella parte del mondo accademico impegnata a fare luce sulle zone d’ombra della libertà in Rete: Antonio Casilli, professore di Digital Humanities al Paris Institute of Technology e ricercatore in Sociologia al Centro Edgar Morin di Parigi, e Sara Bentivegna, titolare della cattedra di Comunicazione Politica alla Sapienza di Roma. I due docenti, partendo da un’analisi sociologica e tecnica dei principali regolatori della fruizione dell’informazione, gli algoritmi, si sono addentrati in un tema tanto attuale quanto spinoso: il controllo della Rete.

La grande mole di informazioni in Rete

La professoressa Bentivegna ha tracciato in maniera molto significativa i due fattori principali che hanno permesso e permettono tuttora a gran parte della società di affidare una grandissima mole di informazioni personali a un contenitore tanto impersonale quanto vivo come la Rete.

Figli di un contesto che ha visto lo strapotere dei media tradizionali e dei loro filtri relativamente all’informazione, i cosiddetti “nativi digitali” (per Casilli definizione abusata e da scardinare) si sono approcciati al banchetto di informazioni offerte dalla Rete come dei naufraghi approdati finalmente nelle lande della possibilità di conoscenza non filtrata e a portata di mouse. E di lande inesplorate in effetti stiamo parlando perché, secondo l’opinione di Bentivagna, proprio questa fame di informazioni e di conoscenza democratica ha permesso l’affidamento cieco alle logiche di un “paese dei balocchi” così ospitale da non far porre domande su quale potesse essere il costo del biglietto d’accesso: un costo che si è tramutato nel passare da produttori di contenuti e fruitori di prodotti a prodotti stessi.

Gli algoritmi

Nella spiegazione tecnica fornita da. Casilli relativamente al funzionamento degli algoritmi – strumenti che permettono un’organizzazione del grande flusso di contenuti quotidianamente offerto dalla Rete – è emerso quanto nella visualizzazione di ciò che ogni utente fruisce vi siano delle logiche altre, gestite da soggetti che ondeggiano tra la necessità effettiva di operare una selezione dei contenuti e la volontà di operare una manipolazione di quegli stessi contenuti.

E’ recente il caso di sperimentazione empirica strutturato da Facebook su 7.000 utenti, a cui sono state sottoposte informazioni con contenuti prevalentemente positivi per sperimentare quanto la fruizione di quei contenuti potesse manipolare l’umore e le decisioni degli utenti stessi. Allo stesso modo è stato osservato come il fatto che Facebook faccia visualizzare più contenuti di argomento politico possa far aumentare la partecipazione al dibattito pubblico del 3% e come, quindi, la gestione dei contenuti virtuali possa avere effetti in un ambito reale, privato o pubblico che sia.

Un nuovo concetto di spazio pubblico

Sullo spazio pubblico come concetto reinventato dalla nuova dialettica virtuale si è incentrata l’ultima parte dell’incontro. Come ha sottolineato Bentivegna, la pluralità di informazioni offerta da Internet ha permesso la creazione di diversi spazi di discussione spesso interconnessi ma che contemporaneamente spesso risultano slegati, dal momento che il sistema di selezione operato dagli algoritmi si basa sul far visualizzare a utenti “simili” contenuti “simili”.

I risultati della discussione che avviene in questo arcipelago di nuovi spazi pubblici, quindi, dovrebbero essere fatti confluire in uno spazio pubblico generico, che la docente universitaria ha pensato di individuare nei media tradizionali e generalisti. La loro funzione potrebbe essere reinterpretata alla luce di questa necessità di dialogo tra spazi di discussione virtuali sempre più numerosi all’interno di un territorio che, nelle battute conclusive di Chiusi, viene fatto passare sempre più come la terra in cui l’anonimato costituisce lo stato naturale delle cose e in cui invece il controllo ne rappresenta una cellula primaria non sottovalutabile.

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